“Meritocracy” è una riflessione su quanto sottende questa parola, spesso usata e abusata negli ultimi anni, nella ricerca populista di un facile consenso.
Focalizza bene la questione Davide Serra nel suo discorso alla Leopolda del 2016, quando colpevolizza e criminalizza le generazioni dei nostri genitori e dei nostri nonni per essersi “indebitati la mia generazione e la generazione dei miei figli” e aver perpetrato la “più grande rapina intragenerazionale”.
L’analisi di Serra è puramente socio-economica e non è mio interesse stabilire se sia sbagliata o meno, se sia superficiale o settoriale. Il mio interesse è relativo esclusivamente all’aspetto umano e al significato di “meritocrazia”.
Ho quindi ripreso due immagini. La prima è tratta dalla copertina di un numero di “Oggi” degli anni ’60. Si tratta della foto del ’43 di un reduce della campagna di Russia. Anche se sembra vecchio, probabilmente non lo è. Probabilmente è solo un ragazzo affamato e abbruttito dagli stenti e dalle sofferenze che ha avuto la fortuna di ritornare in patria.. L’immagine dice tutto: dietro quei segni, quel bianco/nero, quel cucchiaio alzato, c’è una storia, un mondo, una vita. I “perché” sono legati ad un paese, ad una società e alle sue scelte.
La seconda immagine rappresenta un impiegato di banca degli anni’60: preciso e rigoroso con la sua macchina calcolatrice. Potrebbe essere lo stesso soldato di prima che, una volta tornato a casa, si è messo a lavorare, si è sposato e con gli anni ha potuto comprarsi la televisione. Dopo Carosello metteva i figli a nanna. Certo che a volte faceva tardi. ci teneva molto alla sua banca.
Posso parlare di “demerito” in queste normalissime vite? O di “meritocracy” come la intende Davide Serra?
Oppure cerco di capire cosa significa “meritocracy”. Per Michael Young la meritocrazia è “sinonimo di un potere arbitrario in un sistema che tende ad autodistruggersi. Lo Stato moderno è incapace, almeno quanto lo è il mercato, di determinare un’equa redistribuzione delle competenze e dei meriti. Più che un sistema efficiente, la meritocrazia indica l’attitudine di una classe dominante che rende i suoi esponenti impermeabili ad ogni critica o a slanci verso una redistribuzione sociale che non sia quella imposta dall’interesse di classe. Una tesi sostenuta da Young in un articolo pubblicato sul Guardian nel 2001, intitolato «Abbasso la meritocrazia». Facendo i conti con Blair, Young sostenne che la meritocrazia non serve a migliorare le prestazioni di un sistema, ma semmai a peggiorarle in una burocrazia kafkiana. Essa afferma il senso di superiorità basato sul privilegio della proprietà, sulle rendite di posizione e sulla centralità acritica e indiscutibile dell’impresa.”
Michael Young aveva coniato il termine “meritocracy” nel 1958 per il titolo di un libro che doveva essere una satira, un avvertimento. Praticamente il contrario del significato che ha assunto oggi.
L’iimagine del bancario-meritocracy è diventata un timbro. Lo applico o non lo applico, posso timbrare il “merito” oppure no. Al di là di chi sei e di tutto quello che sei. Il timbro-meritocracy è veloce e vincolante, il problema è: chi lo utilizza?
Ma il discorso su Meritocracy-Meritocrazia è lungo e complesso. Questo è un invito alla riflessione, partendo però dall’uomo.